Quello che i media non dicono. Viaggio nell’Africa delle guerre dimenticate.

Il continente africano è il continente con il maggior numero di conflitti armati in corso e,paradossalmente, è uno di quelli meno menzionati dai mezzi di informazione, salvo qualche raro caso in cui un attentato accende i riflettori su questa o su quella guerra. Solo che più che di riflettori dovremmo parlare di flash, perché l’attenzione mediatica dura davvero poco più dell’abbaglio del flash di una macchinetta fotografica.

La situazione socio-politica in cui si sviluppano questi conflitti è di una durezza così disarmante che spesso e volentieri neanche si riesce a quantificarla correttamente. Un mondo così lontano da quello occidentale che rende difficile riuscire ad analizzare dall’esterno le cause e gli effetti della disperazione africana. Una causa comune può senza dubbio essere rintracciata nel colonialismo delle potenze europee e nella scriteriata gestione del processo di ottenimento dell’indipendenza delle ormai ex colonie. I confini politici dell’Africa sono anomali. In tutto il mondo abbiamo confini nazionali irregolari e frastagliati, che ricalcano il più delle volte le asperità naturali che contribuiscono anche a determinare una certa identità tra chi, ad esempio, è al di là o al di qua di un fiume o di una catena montuosa. In Africa è molto frequente imbattersi in confini molto lineari e regolari, evidentemente stabiliti a tavolino, senza alcuna considerazione per i gruppi etnici di una o dell’altra fazione. Molti Stati africani vedono la presenza all’interno dei propri confini gruppi etnici o tribali non omogenei e in conflitto tra di loro. L’identità tribale è una cosa molto seria ed è difficile accettare l’egemonia di un altro gruppo etnico sul proprio. Le guerre civili sparse in tutto il continente prendono il più delle volte la connotazione di lotta religiosa. L’Africa è una terra di “nuova evangelizzazione”, ma oltre ai missionari cristiani sono arrivati nel continente anche i messaggeri del Corano. Questa cosa, in realtà, di per sé tutt’altro che negativa, ma il fervore tipico dei nuovi credenti (basti pensare che i primi credenti cristiani hanno conquistato l’Impero Romano) di entrambe le fedi può essere fin troppo facilmente strumentalizzato per fini totalmente diversi da quelli contenuti nei libri sacri portati dai missionari. Tutto ciò si è tradotto in una situazione di conflittualità religiosa esasperata che si concreta in una lunga catena di attentati  di matrice religiosa. Cercando di trovare una causa comune ai conflitti di questa terra non si può ignorare la situazione politica. Gli stati ufficialmente sotto dittatura militare sono Ciad, Eritrea, Gambia, Guinea Equatoriale, Mauritania, Sudan e Zimbawe. La situazione è in realtà più grave perché molti altri Paesi  hanno un governo dittatoriale anche se non ufficializzato. L’ultima tra le cause ricorrenti è lo sfruttamento delle immense risorse naturali, dal petrolio ai minerali, i cui proventi molto raramente portano risorse alle comunità locali.

Cercare di scattare un’istantanea delle guerre in corso nel continente africano è molto più difficile di quanto non si possa pensare. I dati ufficiali sono spesso inquinati dalla volontà propagandistica di chi vuole ingigantire o sminuire la portata distruttiva dei conflitti. I report di guerra affidabili sono troppo spesso redatti da associazioni umanitarie che non possono accedere ai dati anagrafici sia per carenze dell’apparato istituzionale, sia a causa dell’ostracismo dei Governi. L’unico modo per acquisire familiarità con questa realtà è quello di cercare di analizzare alcuni esempi. La prima realtà in esame è quella libica. La Primavera Araba ha portato alla destituzione e alla morte dello storico dittatore Mu’ammar Gheddafi. Dopo questo evento nel 2011, la guida ufficiale del Paese è stata affidata al Consiglio nazionale di transizione. Il 18 Maggio 2014 il “generale rinnegato” Khalifa Belqasim Haftar ha condotto delle operazioni militari non autorizzate, confluite in un vero e proprio colpo di stato che ha portato alla creazione di un emirato islamico dopo l’occupazione di Bengasi. Anche nella vicina Tunisia la Primavera Araba non è riuscita ad arginare le derive fondamentaliste dei gruppi jihadisti. L’ Uqba Ibn Nafi Battallion è un gruppo armato che cerca di imporre nel Paese la sharia, la legge islamica. Nella Repubblica Centraficana i ribelli di Seleka continuano a contrapporsi alle forze governative in una sanguinosa guerra civile che va avanti dal 2012. Nel Paese nel 2013 c’è stato l’intervento armato francese che, però, non ha risolto il conflitto. Nel 2014 le ostilità sono riprese in modo molto violento e brutale e si sono registrati anche atti di cannibalismo. La contrapposizione tra milizie jihadiste e governo riguarda anche il Mali. Anche qui nel 2013 c’è stato l’intervento francese. A complicare il quadro maliano c’è la presenza dei Tuareg, i pastori berberi del deserto, che hanno il pieno controllo delle proprie terre. Nella Repubblica Democratica del Congo opera il gruppo armato M23, accusato di moltissimi crimini contro l’umanità tra i quali stupri, tortura e rapimento di bambini da usare in guerra. Il gruppo gode anche del consenso e dell’appoggio di alcuni Stati limitrofi come, ad esempio, il Ruanda. La parte meridionale della Somalia è controllata  dal gruppo islamista denominato Al-Shabab. Il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan solo due anni fa. Oltre alle violenze nell’est del paese (Jonglei) si registra una totale sospensione dei diritti umani. In Uganda il presidente Museveni ha accresciuto le misure repressive già adottate, contribuendo al proseguimento della guerra civile causata anche da presunte irregolarità nelle elezioni che hanno permesso allo stesso Museveni di rimanere al potere per il terzo mandato consecutivo. In Kenya il presidente Kenyata e il vicepresidente Ruto sono accusati di crimini contro l’umanità nelle violenze post elettorali del 2007. Il già citato Al-Shabaab combatte contro il governo in carica.
Le guerre africane, più che da eserciti nazionali sono combattute da gruppi armati, di solito di formazione religiosa. Due di questi sono Al-Shabaab e Boko Haram. Al-Sabaab è un gruppo terroristico sviluppatosi in Somalia durante la guerra civile del 2006 come prosecuzione dell’operato delle Corti Islamiche, uscite sconfitte dal conflitto. Dal 2012 Al-Shabaab è affiliato ad Al Quaeda ed inoltre vanta un accordo di collaborazione anche con il ben più noto gruppo Boko Haram. Come tutti i fondamentalisti islamici, lo scopo del gruppo è quello di sovvertire il governo istituzionale, che nel caso della Somalia è un governo di transizione, ed instituire nel Paese la legge coranica. Tra i sostenitori ci sono i pirati somali, ma con ogni probabilità anche veri e propri stati come Eritrea e Somaliland. Ben più nota, purtroppo, è la formazione  terroristica conosciuta come Boko Haram, il cui nome significa “l’educazione occidentale è proibita”. È un gruppo terroristico di matrice jihadista e di tradizione sunnita nato nel 2001 o nel 2002 nel nord della Nigeria ad opera di Ustaz Mohammed Yusuf, nella città di Maiduguri. L’organizzazione terroristica è recentemente tornata nelle cronache di guerra a causa della serie di attentati all’inizio di quest’anno. Il leader di Boko Haram è riuscito a creare una base di consensi molto importante, accusando la corruzione della società e della polizia, cavalcando l’onda del dramma della disoccupazione e offrendo alla popolazione una scuola per famiglie povere. L’attuale leader è Abubakar Sheakan.  Il modus operandi è quello, ormai consueto, degli attentati kamikaze, ma a differenza di altre cellule terroristiche, Boko Haram fa ricorso anche a bambini e bambine da usare come inconsapevoli forieri di distruzione.

L’uso dei bambini nelle operazioni belliche ha, però, radici ben più profonde degli ultimi attentati. È una piaga che affligge il continente da tempo. Il vantaggio di ricorrere ai bambini piuttosto che agli adulti ha notevoli vantaggi agli occhi dei generali. Un bambino non sa nulla del mondo e la sua mente è molto facile da influenzare. Per i più piccoli bene  e male sono concetti del tutto relativi, abituati fin da piccoli a vivere in un mondo che non si avvicina neanche lontanamente ai più brutti incubi dei coetanei europei o americani.  Il reclutamento avviene tra gli orfani che hanno perso i genitori per fame o per malattia, ma soprattutto durante la guerra o comunque tra i più bisognosi, costringendo anche le famiglie a vendere uno dei propri figli per garantirsi la sopravvivenza. La leva psicologica non è l’unico strumento nelle mani di quei mostri che creano i bambini soldato. Molti bambini sono resi schiavi di qualsiasi droga possibile, anche dei solventi presenti nella colla. Questo stato di soggezione fisica e psicologica trasforma ragazzi che hanno anche meno di dieci anni in perfette macchine da guerra. Purtroppo, anche in questo caso trovare dati che spieghino il fenomeno nella sua globalità è impossibile. È, ormai, appurato che nella guerra civile della Sierra Leone si usino bambini soldato da almeno 10 anni. In Angola il 36% dei  bambini è stato impiegato in operazioni di guerra dirette o di supporto.  In Liberia, uno degli stati più tristemente noti per questo scempio, una stima delle Nazioni Unite parla di 20.000 bambini soldato, il 70% di tutti i combattenti. Il numero più raccapricciante riguarda il Sudan. Si stima che in venti anni di guerra siano stati impiegati 100.000 bambini.

Purtroppo, mancano dati integrali sia sull’utilizzo dei bambini in operazioni belliche, sia per tutti i morti e feriti che le guerre del continente africano hanno causato, anche perché ci sono tutta una serie di morti “collaterali”, persone che hanno perso la vita negli attentati di guerriglia, ostaggi uccisi come rappresaglia pur non avendo altra colpa se non quella di appartenere ad una fazione opposta a quella dei loro carnefici. Ci sono le migliaia di persone morte perché l’instabilità politica e militare ha precluso loro l’accesso ai servizi più elementari, anche agli aiuti forniti dalle organizzazioni umanitarie. Però alla fine l’assenza di numeri non stempera la durezza dello scenario. È inaccettabile la neutralità con cui vengono accolte le notizie che riguardano stragi o attentati. L’informazione di massa tratta alcuni argomenti solo per il tempo in cui questi garantiscono un ritorno in termini di ascolto o visualizzazioni. Le notizie di attentati terroristici passano ormai in secondo piano, le notizie delle stragi vengono ricevute come se fossero statistiche. Non ci si ferma più a pensare che quei  dieci morti avevano un nome e un cognome, una storia, una famiglia, una vita con dei sogni da realizzare. L’indifferenza è quasi un sistema di difesa, ma è assurdo pensare che la generazione che può trovare un’informazione in qualsiasi momento, che può sfruttare canali alternativi per avere notizie diverse da quelle delle fonti ufficiali, che può sapere quello che accade dall’altra parte del mondo in meno di un minuto non si ricordi più di tutti questi morti per queste stupide guerre. Qui l’ignoranza non ha alibi, i mezzi ci sono e chi non li usa è colpevole.

Quello che i media non dicono. Viaggio nell’Africa delle guerre dimenticate.ultima modifica: 2015-05-30T20:33:17+02:00da pro276
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