Quello che i media non dicono – I conflitti dimenticati nel mondo

Quando sei tra gli Stati più importanti d’Europa decisero nello scorso secolo di dar vita a quella che è giunta ad essere l’attuale Unione Europea, furono mossi dal desiderio di impedire che lo scempio delle due grandi guerre del Novecento, le Guerre Mondiali, non si ripetesse mai più. Questo ha portato ad una sorta di Pax Augustea 2.0, in cui la pace non è imposta dall’alto da un impero conquistatore, ma ottenuta come volontà delle singole parti in causa, nonostante posizioni politiche e ideologiche tutt’altro che omogenee.

La guerra per noi Italiani è, per nostra fortuna, solo quella che vediamo in tv o su internet. Ma purtroppo ci sono molte guerre che sui mezzi di informazione transitano con le velocità di una cometa, offuscate dai bisogni dell’audience e dalle leggi del mercato. E così, quando si pensa alle guerre in atto ai giorni nostri la nostra mente non riesce ad andare molto oltre quei pochi casi famosi. C’è l’Iraq, l’Afghanistan, la Palestina. Poi c’è l’Isis. Se ci avviciniamo a casa nostra ci ricordiamo delle rivolte in Nord Africa e della questione della Crimea. Bene o male l’immaginario comune ha difficoltà a localizzare altri conflitti armati. Più o meno tutti sappiamo che in Africa ci sono alcune guerre, ma niente di più. Spesso non siamo neanche riconoscere gli stati africani sulla cartina, figurarsi riuscire a capire dove si combatte.

Il continente africano è quello in cui la situazione è più drammatica. Le guerre attualmente in corso riguardano 174 gruppi armati, in 27 Paesi (Algeria, Angola, Ciad, Camerun, Costa d’Avorio, Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenia, Libia, Mali, Mauritania, Mozambico, Nigeria, Puntland, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sahara Occidentale, Ruanda, Senegal, Somalia, Somaliland, Sudan, Sud Sudan, Tunisia e Uganda). 27 Paesi, come l’UE nel 2013. Molti di questi Paesi si trovano a dover risolvere tutti i problemi di un passato coloniale che ha lasciato, oltre ad un notevole impoverimento economico, una  situazione politica scellerata, con confini stabiliti  a tavolino dalle grandi potenze senza considerare la variegata realtà tribale del continente.

In Asia gli stati toccati dalla guerra sono 16, per un totale di 146 gruppi armati: Afghanistan, Bangladesh, Myanmar, Cina, Filippine, India, le due Coree, Indonesia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Tajikistan, Tailandia, Uzbekistan. Si parla di Nazioni come Cina e India che, oltre ad avere una popolazione complessiva di circa 2,5 miliardi e mezzo di abitanti, rappresentano uno snodo cruciale per l’economia mondiale.

Un’analisi ulteriore e più approfondita merita la situazione Mediorientale, essendo il luogo di origine e la “roccaforte” dell’Islam, con una notevole contrapposizione con il mondo occidentale e con un ruolo di primo piano nel commercio mondiale del petrolio. Gli Stati coinvolti sono Arabia Saudita, Iraq, Iran, Israele e ANP, Libano, Siria, Turchia e Yemen.

Per quanto riguarda il continente americano, gli Stati da prendere in considerazione sono  Cile, Colombia, Ecuador, Messico e Perù. L’America Latina paga ancora l’instabilità politica del post colonialismo e un alto tasso di criminalità con la presenza di cartelli criminali con potere immenso.

Venendo all’Europa, la situazione appare meno problematica. Tutte le grandi guerre di liberazione o di secessione sono per fortuna concluse ad eccezione della sola situazione ucraina. Non mancano le tensioni, anche in nazioni abbastanza sviluppate dal punto di vista politico ed economico come, ad esempio, in Spagna (Catalogna e Paesi Baschi) e in Regno Unito (Irlanda del Nord, ma anche Scozia), ma gli episodi di violenza sono per fortuna molto limitati e sporadici. Al di la delle criticità che ancora si registrano nelle nazioni sorte dal disgregarsi della Ex Jugoslavia e dell’ Unione Sovietica, la vera guerra in atto nel territorio europeo riguarda quella della penisola della Crimea, in territorio ucraino ma di forte matrice russa. La situazione è molto controversa, con informazioni anche molto contrastanti.

Decontestualizzando il titolo di un’opera di Hannah Arendt, si può parlare di banalità del male, quel male che alla fine non fa più notizia: la morte di civili innocenti, lo scempio dei bambini soldato, la violenza perpetrata ai danni delle donne nelle zone di guerra. I grossi numeri tendono a sminuire la portata dell’orrore della guerra, perché i morti smettono di essere uomini e diventano cifre, e si finisce per confrontare le guerre tra di loro contando, magari, giusto i decessi. Come se la vita di un soldato valesse solo come un’unità statistica, come se la distruzione delle tante famiglie che piangono i loro congiunti morti non conti nulla, come se un solo morto per queste stupide guerre non sia già un morto di troppo.

Quello che i media non dicono – I conflitti dimenticati nel mondoultima modifica: 2015-05-30T20:28:46+02:00da pro276
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