Arrivederci, Maestro!

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Ci sono, nell’immaginario collettivo dei calciofili, squadre che sono il sogno di ogni calciatore, al di là del tifo. Ci sono squadre che sono nobili, non solo per la sala trofei, per il budget illimitato sul mercato o gli stipendi faraonici. Dietro c’è una storia fatta di successi, di una filosofia precisa e di grandi campioni. Sono proprio quei team che quando bussano alla porta di qualsiasi calciatore questi difficilmente si riesce a resistere. Per carità le eccezioni esistono e, probabilmente, la più fulgida per il calcio dagli anni Novanta ad oggi si chiama Francesco Totti, ma qui entrano in gioco altre ragioni, altri stimoli, altri sogni e un amore troppo grande per quella che è casa propria.

Ci sono, poi, quei calciatori che ogni squadra sogna, che puoi essere il glorioso Real Madrid, il super Barcellona degli ultimi anni, il favoloso Manchester United o il panzer Bayern Monaco o, magari, puoi anche essere tra i paperoni del calcio mondiale, chiamarti Manchester City, Paris Saint Germain e Chelsea. Ci sono calciatori che, per quanta possa essere ricca la tua bacheca o pieno il tuo conto in banca, è un onore vederli indossare la tua maglia, disegnare magie ed insegnare calcio con il tuo stemma cucito sul petto, e non sempre questa è una cosa che si può comprare. Andrea Pirlo è uno di questi, l’emblema del grande calcio italiano, quando l’Europa era casa nostra. L’addio al calcio vero del Maestro è solo l’ultimo colpo al cuore dei tifosi nati negli anni Novanta. Le più grandi bandiere del nostro calcio si sono ammainate. È finito l’amore tra Del Piero e la Juve, tra Maldini e il Milan, tra Zanetti e l’Inter, tra Gerrard e il Liverpool, tra Xavi e il Barcellona, tra Casillas e il Real Madrid e la lista è ancora lunga.  Le ultime certezze rimaste si chiamano Francesco Totti e Gianluigi Buffon.

La storia d’amore tra Pirlo e il calcio italiano e una storia di immagini forti, di dolci parabole e sassate improvvise, di passaggi difficili e di passaggi impensabili, di corse sfrenate con i capelli al vento, sotto l’azzurro cielo di Berlino, con quella maglia dello stesso colore e delle lacrime sotto lo stesso cielo, con una maglia bianconera in una finale di Champions che è stato il suo addio al calcio che conta. Storia di rigori, del cucchiaio allo spocchioso Hart, dal primo rigore alla finale dei mondiali, alle mani in testa durante la maledetta finale di Istanbul, fino ad arrivare all’abbraccio a Capitan Cannavaro, durante l’ultimo rigore, a chiedere “Ma se segna abbiamo vinto?”. Sì, alla fine, abbiamo vinto.

È una vita di trofei alzati, di punizioni messe lì dove i portieri neanche osano immaginare, parabole che un ingegnere o un architetto non avrebbero l’ardire di disegnare. È una vita di Milan, di un Milan stellare che quello di oggi è solo una delle più sbiadite controfigure. Una vita di Nazionale: mentre gli altri interpreti giravano, lui e la sua 21 sono rimaste sempre lì, ad illuminare e dare prestigio a quella maglia. Primo riferimento della difesa, il giocatore a cui si può passare la palla anche in mezzo a tre, faro per i compagni di reparto, di mediani mastini, alla Gattuso, o di mezzali più tecniche, magico assist man per gli attaccanti, con palle al millimetro, seguendo linee di passaggio invisibili ai più, senza il bisogno neanche di alzare gli occhi per vedere dove sta il compagno. È una vita, che sul finire, si è tinta di bianco e di nero, ad inaugurare un poker di scudetti che in pochi avrebbero pronosticato. E la storia stava per diventare quasi leggenda, il sogno di alzare la coppa dalle grandi orecchie, come giusto commiato verso il calcio europeo, si è infranto contro uno dei tridenti più forti della storia del calcio mondiale, Messi Neymar e Suarez. Ancora una finale persa dopo una lunga cavalcata, quando iniziava a farsi strada l’idea che il mondo del calcio era sul punto di assistere alla redenzione della più grande macchia della sua storia, quando faceva capolino tra le menti dei tifosi che quella palla tutta d’oro potesse finalmente entrare nella bacheca del regista di Flero.

Gli attestati di stima sono stati tanti, tra allenatori, compagni di squadra e avversari. Un genio universalmente riconosciuto come tale, un maestro di calcio, a tratti anche un mago, qualcuno capace di fare cose che gli altri non sono in grado neanche di pensare, perché accanto a Pirlo la parola “ordinario” è un ossimoro troppo stridente da scrivere. La frase che forse riesce a rendere meglio l’idea della differenza tra il centrocampista di Brescia e il resto del mondo è quella di Gattuso: “Quando vedo giocare Pirlo, quando lo vedo col pallone tra i piedi, mi chiedo se io posso essere considerato davvero un calciatore.” E sì, perché certe cose per farle devi essere un figlio prediletto del Dio del Pallone, di una benedizione a piene mani, perché tanta qualità in un uomo non è solo questione di geni. Devi appartenere ad una sorta di club esclusivo, un club i cui membri sono selezionati accuratamente, dove si accede solo se si hanno le carte in regola per diventare ciò che si è: Leggenda!

Arrivederci, Maestro!ultima modifica: 2015-07-11T16:33:06+02:00da pro276
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