Il bello della normalità. Perché anche essere brutti può non essere così male.

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Finalmente è tornato J-Ax, al secolo Alessandro Aleotti. Dopo quattro anni dall’ultimo disco arriva “Il bello d’esser brutti”, con la sua nuova etichetta, Newtopia, fondata insieme a Fedez.

L’album ha un alto contenuto autobiografico, soprattutto in alcuni passaggi in cui racconta diversi aspetti della sua vita, tracciando una netta linea tra il J-Ax di prima e quello di adesso. Questa differenza emerge con forza in Intro, primo pezzo dell’album, che funge proprio da manifesto programmatico di tutto il lavoro. La traccia è tutta imperniata intorno alla svolta della sua carriera, il pagamento della penale per risolvere il suo contratto con Best Sound, la sua vecchia casa discografica che non cita esplicitamente, e l’inizio di un’avventura diversa che lo ha portato a creare la sua personale etichetta e a staccarsi definitivamente dagli Articolo31 anche nell’immaginario collettivo. Sono molte le frasi ad effetto del brano, ma tutte si rifanno al filo conduttore dell’autenticità. Il rapper racconta il suo bisogno di “ricominciare da meno di zero e finalmente sollevare il velo; e raccontarsi veramente non l’immagine vincente che la gente prova a vendere di sé”, uscendo da un’ottica solo commerciale e ritrovando la passione per la musica, senza accontentarsi di “avere chiuso in pari”. Ribelle e basta è una critica simpatica e scanzonata nei confronti di tutti quei rivoluzionari “da tastiera”, che popolano le bacheche dei social network e fanno i duri, per poi tornare con la coda tra le gambe dalla mamma o dalla mamma Italia, per farsi allargare i pantaloni o per qualsiasi altro motivo. Il pezzo si sviluppa come un dialogo con le due “mamme”, quella vera e la tanto disprezzata Italia. Anche ne La tangenziale, c’è una forte dose di ironia. Nel testo si citano tutta una serie di situazioni dell’italiano medio in vacanza, che rincorre ancora lo stereotipo della vacanza, trovandosi in un Salento super affollato o in montagna con la neve finta, dopo un’eterna coda in tangenziale, bloccata da questo o quel movimento di protesta che finirà per risolversi nel classico nulla di fatto. La componente autobiografica si riaffaccia prepotentemente in Sopra la media. C’è un vero e proprio confronto del ghetto della sua infanzia, molto degradato e con la voglia di scimmiottare, senza successo, le star della tv o le feste dei locali più cool di Milano, con quello che è diventato ora. Tornando dove è cresciuto, J-Ax scopre che al posto delle case popolari ci sono le creazioni strampalate di “architetti e creativi”, che al bar “non parlano di calcio ma dei film di Lars Von Trier” ed è pieno di gente che “si atteggia e parla di protesta con ‘sti jeans a sigaretta”. Insomma, come Celentano che trova il cemento al posto dei prati, anche J-Ax scopre che il posto un po’ ignorante e monotono, ma estremamente vero, in cui è cresciuto ha lasciato il posto ad un mondo affettato e finto, che ostenta la propria diversità. Il quinto brano della tracklist, Uno di quei giorni, è un’ode alla sfiga più nera. Insieme a Nina Zilli, si può ascoltare la trasposizione in musica della Legge di Murphy, con la descrizione di una giornata tipo in cui tutto ciò che può andare storto, alla fine va storto, dalla sveglia, data dalla chiamata di una operatrice del call center, alla grandinata in moto. Sono di moda è una critica, sempre molto allegra e spensierata, ai maniaci della moda, che cambiano opinione su qualcosa o su qualcuno solo per adeguarsi alla massa. La partecipazione a The Voice ha significato per lui proprio questa trasformazione da “cesso” a “tipo” o da “rimbabito” a “eccentrico”, perché alla fine “la moda cambia sempre è il contrario della verità”. Il featuring di Neffa in Caramelle ci regala l’esaltazione dell’amore normale, delle coppie che stanno insieme senza troppi formalismi, che stanno sul divano a mangiare caramelle, che non hanno una storia perfetta agli occhi del mondo, eppure vivono il loro grande amore in modo stupendo. La canzone è, neanche troppo velatamente, dedicata alla compagna a cui dice di avergli fatto mettere la testa a posto senza che lui neanche si accorgesse di doverlo fare e che “oltre alle mie chiavi trovi il senso che avevo perso dentro me”, perché il grande amore non sempre è quello formato Hollywood. Hai rotto il catso è un brano in cui c’è un chiaro attacco alla politica europeista della Germania e della Merkel e al linguaggio dei politici che cercano di indorare la pillola di manovre politiche restrittive usando parole straniere o poco comprensibili. Miss&MrHide è l’esaltazione della bellezza rock, che invecchia con gusto senza distruggersi a colpi di bisturi e botulino e si accetta per quello che è. Una bellezza naturale come Sophia Loren, contro una più artefatta e costruita, alla Kim Kardashan. Santoro e peyote è il riscatto ironico di tutti gli errori della vita, che sono un nulla se paragonati alla visione di un talk show televisivo sotto l’effetto di stupefacenti. Rock City è un brano, per stessa ammissione del cantante, Rap’n’roll, in cui J-Ax descrive quello che potrebbe tranquillamente essere il suo alter ego al femminile. Tutto o niente è un brano che se fosse stato un film avrebbe recato la dicitura “ispirato ad una storia vera”. È la simulazione di una chiamata tra J-Ax e il suo manager, ma in realtà è un dialogo con il se stesso di venti anni prima. Da una parte abbiamo un uomo al risveglio dopo una delle classiche nottate passate tra alcol, droghe e risse, con ovvi problemi di immagine che il manager, dall’altro lato della cornetta deve risolvere, senza il minimo aiuto da parte del suo assistito. E lo scontro tra il realismo di chi ha messo la testa a posto per il bene di tutti e la sindrome di Peter Pan del J-Ax ubriaco. È un’analisi realistica, senza giudizi o morali o ritrattazioni di sorta. L’unica concessione alla “moralità” si trova in chiusura, nella frase “o su le mani o su le maniche”. Il ritornello è cantato da Emiliano Valverde, membro del Team Loser a The voice. Il tredicesimo pezzo è quello che dà il nome all’album, Il bello d’esser brutti. È il riscatto delle persone normali, della bellezza vera con tanto di difetti e inestetismi, che non si fa intrappolare nei canoni di modelle e sex symbol. Vuole essere l’inno degli adolescenti e di tutti quelli che si sentono inadatti, che perseguono un ideale di perfezione che in realtà non esiste. È l’esaltazione dell’uomo e della donna normali, senza labbra a canotto o fisico scolpito, che però sono belli comunque. Old skull è una sorta di dissing generalizzato. Con la complicità dei Club Dogo, sulla base tratta da Taking Off di Mia Martini, viene fuori un pezzo dal ritmo assolutamente serrato, che si scaglia contro tutti quei cantanti che si spacciano per gangster, sul modello dei rapper americani, che inneggiano alla violenza e alla vita dissoluta senza, però, che questo corrisponda alla realtà. Maria Salvador è la riproposizione, dopo quindici anni, di Oh Maria, canzone degli Articolo31 dedicata alla marjuana. Il brano vede la collaborazione de Il Cile e ha una sonorità più reggae che rap, che ben si sposa con questo argomento. È una sorta di coming out pubblico, in linea con l’esigenza di autenticità di tutto l’album. Bimbiminkia 4 life, con la partecipazione di Fedez, è un brano in difesa delle nuove generazioni, troppo spesso accusate di essere superficiali, di avere pessimi gusti in fatto di musica o di moda. È una sorta di “eterno ritorno dell’uguale” di nietzscheana memoria, come se ai quarantenni di oggi non fossero state mosse le stesse accuse. Addirittura si arriva a ipotizzare che anche ai tempi di Garibaldi i vecchi di Nizza, dicessero che “il giovane di oggi non vale una cippa”, nella convinzione che screditando i più giovani si possa recuperare la propria golden age. Nati così, scritto con Max Pezzali, la cui mano è peraltro riconoscibilissima, è una sorta di scatola dei ricordi molto nostalgica, aperta e messa in musica. Stessa nostalgia che troviamo in Un altro viaggio, con Valerio Jovine, in cui si racconta un’Italia che, anche se sta andando tutto male, fa finta di nulla e continua a lasciar scivolare via tutto il bello di una grande nazione che forse non sa di esserlo davvero. Nell’album c’è anche posto per Weedo, quello che prima era Grido, dei Gemelli Diversi. In Pub song si scorge tutta la complicità dei due fratelli, che sono cresciuti sì, ma non troppo e continuano ad esaltare la vita sconclusionata tra bevute al pub e risse da “zarri alle giostre”, orgogliosi di essere ancora adolescenti dentro, tra serate alcoliche e colazioni a base di Maalox per rimettersi a posto lo stomaco, un po’ come ai tempi di Due su due o Spaghetti funk. La canzone di chiusura, L’uomo col cappello, riporta il disco ad un tono più serio. J-Ax, dall’alto dei suoi 42 anni, si erge a bandiera degli sfigati, di tutti quelli che magari si fanno biondi o si “atteggiano”, per sembrare quello che non sono perché si fanno convincere dagli altri di non essere abbastanza. Uno dei passi più significativi dice “perché se ti fanno odiare l’uomo nello specchio, lui mette su il berretto, lei le protesi nel petto”. Anche questo pezzo prende spunto dalla sua vicenda personale. Adesso chiamano stile quello che da adolescente era motivo di derisione, come accade sempre a chi non si conforma.

Il messaggio alla base del disco è sintetizzabile con il titolo di un’opera di Pirandello. Come il drammaturgo del secolo scorso, anche J-Ax, con tematiche e tecniche comunicative totalmente diverse, sembra dire: “Così è, se vi pare”, quasi a voler affermare con forza che bisogna essere quello che si è e presentarsi al mondo senza troppe maschere. Ed è proprio questo il filo conduttore che guida tutte le tracce dell’album, una descrizione senza mistificazioni e pienamente consapevole del fatto che determinate cose gli sono “concesse” solo perché famoso. J-Ax sembra dire “sei quello che sei, e va bene così”.

Il bello della normalità. Perché anche essere brutti può non essere così male.ultima modifica: 2015-06-15T15:48:42+02:00da pro276
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