Dal diario di un aspirante rugbista. Parte seconda.

addio al rugby mago

 

Caro Diario,

si lo so che chiamarti diario non è giusto. L’ultima volta che ci siamo sentiti in queste vesti era più o meno un anno fa. Però, se non nella forma almeno nella sostanza lo sei davvero. Come lo scorso anno, affido a questa tua pagina i pensieri e le sensazioni alla fine di un campionato di rugby. In un anno di cose ne sono cambiate tante. La squadra innanzitutto, e con essa i colori da difendere: il rossoblù o del Gosso ha lasciato spazio al biancorosso del Piacenza; è cambiato lo stadio di casa, quel campo da provare a difendere dagli assalti nemici; è cambiato il campionato: dalla C2 lombarda al primo sperimentale campionato riserve, contro le seconde squadre di società davvero importanti. È cambiato, in parte, il gruppo, con alcuni giocatori che hanno lasciato il rugby, altri che hanno cambiato maglia e altri ancora che sono arrivati dalle giovanili delle due società. Quello che è rimasto uguale è lo zoccolo duro del gruppo e l’allenatore, Coach Toscani, che ci ha accompagnati nell’ultima parte dello scorso campionato.

Non mi metterò a fare un resoconto domenica per domenica di questo strano, difficile ma bel campionato, non avrebbe senso e non sarei in grado di ricreare una timeline quanto meno decente perché sono successe davvero troppe cose. Mi limiterò a ripercorrere quelle che sono state le emozioni più forti, più belle o più intense, sia mie che della squadra, in ordine più o meno sparso.

Non posso non partire dai derby, i miei primi due derby vissuti e un po’ anche giocati in campo. Su un derby si sprecano sempre fiumi d’inchiostro, in qualsiasi sport. Viverlo dal vivo, entrare nella storia di una rivalità così lunga e così sentita, scrivere una pagina di una storia lunghissima, seppur non una pagina molto esaltante in termini di risultato è una cosa unica e difficilmente traducibile a parole. Lavorare durante la settimana con la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una corazzata, eppure provarci ugualmente, vendere cara la pelle per poter uscire a testa alta anche di fronte ad un risultato che è più di uno schiaffo in faccia, più di un cazzotto nello stomaco, più di un calcio sotto la cintura.

Poi la bellezza di giocare in stadi importanti come il Carlini di Genova o il Beltrametti 1, quel campo che tante volte ho visto dalla tribuna stampa o semplicemente dalla tribuna normale durante le partite della prima squadra.

La bellezza di alcune partite particolari: la vittoria a tempo quasi scaduto contro il Colorno, la vittoria anzi tempo contro il Settimo Torinese, la vittoria comoda contro l’ASR Milano sotto il diluvio e dulcis in fundo la vittoria contro il Recco all’ultima di campionato: un 31-11 per chiudere il campionato decisamente meglio di come fosse iniziato.

La sfida esaltante contro giocatori di categorie superiori: dalla B all’Eccellenza, come nei due derby in cui nelle distinte avversarie comparivano nomi che in altre giornate sono apparsi in ben più importanti liste gara o come tutte quelle occasioni in cui tra le file avversarie c’erano giocatori esclusi dal novero di una squadra di A o di B. Giocarsela contro queste squadre, per un gruppo che lo scorso anno era in C2 è stato davvero difficile ma gratificante.

Detto così sembra tutto rose e fiori, ma è ovvio che non tutto è andato per il meglio: i problemi ci sono stati e neanche pochi: gli allenamenti risicati, le formazioni inventante, le partite senza 9 o senza 10 e quelle buttate via contro avversari decisamente alla portata, i brutti infortuni di diversi giocatori importanti, i problemi economici e la caccia allo sponsor nel precampionato.

Come in ogni stagione ci sono stati alti e bassi, la chiusura in crescendo ha probabilmente spostato l’ago della bilancia, a livello di sensazioni, verso gli alti e, per fortuna, va bene così. Quello che rimane di stagioni come queste è sempre la possibilità di crescere, di cementare il gruppo, di cercare dentro di sé e negli altri le risorse per superare le difficoltà, per coprire ruoli mai fatti o per superare dolori e infortuni, anche quando lasciare tutto da parte potrebbe essere la soluzione più razionale, più saggia e sicuramente più comoda. Però come abbiamo scritto sullo striscione per l’addio al rugby del Mago, “chi si allena, suda, fatica, si fa male, mangia e beve con te, non potrà mai lasciarti solo” e allora, dalle difficoltà è emerso il gruppo, quel gruppo che al di là di tutto, è stato in grado di soffrire e gioire insieme.

Caro diario, è tempo di saluti. Lo scorso anno chiusi la pagina con un “Arrivederci Gosso” che si è rivelata una gufata clamorosa, quindi, stavolta, meglio evitare qualsiasi forma di commiato. Saluto solo te e la stagione appena conclusa, evitando ogni riferimento specifico a quel biancorosso che, nonostante le analogie poco simpatiche per un salentino orgoglioso come me, inizia ad entrarmi dentro, con la sua storia, le sue difficoltà, le sue risorse, le sue radici orgogliose e i suoi piani per il futuro.

Ci sentiamo presto, ma non garantisco nulla.

PS: in questo poco credibile post scrittum non posso non citare quello che è un vero miracolo sportivo, la mia prima, e spero non ultima, meta in campionato. A più di 24 ore di distanza ancora non riesco ad elaborare del tutto la felicità per questa cosa. Mi limito solo a ricordare il punto d’incontro, Sako che evita un compagno di squadra e scarica per Plucani, una terza linea under 18 schierato, chissà per quale motivo, da 10 e la palla che mi arriva in mano. Davanti a me, a una quindicina di metri la linea di meta. Vedo arrivare il placcatore dall’interno, picchio dentro, provando a resistere e ci riesco. Ora devo solo correre verso la linea di meta. Da un momento all’altro mi aspetto un tir che mi travolge da dietro e mi nega la gioia della marcatura, ma non arriva e riesco a schiacciare quella palla oltre la linea, senza nemmeno provare a guardare indietro per vedere se potevo schiacciarla in mezzo ai pali. Da quel momento non ricordo molto, o meglio ricordo tutti i miei compagni che mi saltano addosso: Klajdo, Ricky, Barack, il Tosco e probabilmente tutti gli altri. Ricordo il Tack che mi chiama verso la panchina per darmi il cinque e l’abbraccio al Tosco senior che urla “strappo il cartellino”. Ricordo il ritorno verso la metà campo e l’abbraccio a Randy. Poi volevo solo che la partita finisse presto per non fare cazzate dopo il miracolo. Del post partita mi ricordo abbracci e schiaffi sul coppino da quelli fuori e la valanga di schiaffi, calci e pugni negli spogliatoi durante la canzone della vittoria e la sensazione che quel momento tanto atteso fosse finalmente giunto. Se me lo aspettavo così? Mai nella vita. Mi aspettavo una prima meta “regalata” da qualche compagno che mi passa la palla a un metro dalla linea, solo da schiacciare o dopo un pick&go e magari mi aspettavo il Mago in campo che stavolta, però, era con la prima. Invece è andata meravigliosamente così e per smaltire la gioia ce ne vorrà ancora di tempo.

Giuseppe

Dal diario di un aspirante rugbista. Parte seconda.ultima modifica: 2016-05-11T17:36:37+02:00da pro276
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